Rendere visibile il lavoro invisibilizzato (non visibile): le ricerche sull’utilizzo del tempo

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Credits: Fotomovimiento.org

di Matxalen Legarreta Iza y Marina Sagastizábal Emilio-Yus (Universidad del País Vasco, UPV/EHU)

1) Invisibilità del lavoro domestico e di cura

Pulire, scopare, fare la lavatrice, stendere, portare i bambini a scuola, riprenderli, dargli la merenda, vigilare sulla nonna perché stia bene, ricordare che il mercoledì ha appuntamento dal dottore, pensare alla lista della spesa, far durare i soldi fino alla fine del mese…

Tutte queste attività che facciamo ogni giorno e che apparentemente non creano ricchezza né impattano sull’ “economia reale” costituiscono un lavoro: quello che ha a che fare con il mantenimento del benessere di ogni giorno. E’ un lavoro svolto principalmente dalle donne e nonostante questo non viene tenuto in conto nella produzione di dati statistici. Il lavoro domestico-familiare è stato classificato nelle rilevazioni alla voce “suoi lavori” e, ancora oggi, l’Indagine sulla Popolazione Attiva continua a considerare “inattive” le persone che lo svolgono a tempo pieno. In questo modo non si è fatto altro che riprodurre il suo carattere di “non lavoro”, occultando il suo contributo all’economia.

Davanti a questo occultamento, il movimento femminista da tempo rivendica il fatto che il lavoro domestico-familiare è un lavoro e si rende evidente che lo stesso concetto di economia deriva dal termine greco oikos-nomia che significa la buona amministrazione della casa. Da questo punto di vista si è sviluppato un dibattito sul valore del lavoro domestico-familiare con l’obiettivo di misurare, e quantificare, questo lavoro e di confrontarlo con quello realizzato nell’ambito mercantile. L’obiettivo è molto semplice: rendere visibile quello che è stato reso invisibile sia a livello sociale e economico sia a livello politico.

2) Rendendo visibile il lavoro “invisibilizzato”

Se intendiamo il lavoro come qualcosa di più di un’attività lavorativa, è possibile considerare non solo l’esistenza di altri lavori ma anche di altri tempi sociali che poco o nulla hanno a che vedere con quelli della giornata lavorativa. In questo quadro, gli studi sugli usi del tempo sono stati uno strumento utile per rendere visibili ambiti poco regolati della vita quotidiana, come quello domestico-familiare, e hanno dato un contributo importante quando è stato il momento di rendere evidenti le disuguaglianze di genere esistenti in questa sfera.

In questo senso, si può affermare che le Indagini sugli Usi del Tempo costituiscono uno strumento chiave per il femminismo, poiché supportano con dei dati molte delle sue rivendicazioni.

Questo tipo di indagini cominciano a diffondersi dal 1995, a partire dalla Conferenza ONU per le Donne di Pechino, dove a tutti i paesi membri viene raccomandato di effettuare Conti Satellite di Produzione Domestica con l’obiettivo di rendere visibile e dare valore al lavoro che realizzano principalmente le donne nelle famiglie. La “materia prima” che alimenta i Conti Satelliti sono le Indagini sugli Usi del Tempo. Attraverso queste inchieste si contabilizza il tempo impiegato in ambito domestico-familiare per poi attribuirgli un valore monetario. Così, attraverso i Conti Satellite è possibile stimare il peso del lavoro domestico-familiare rispetto al PIL. Nel Paese Basco, per esempio, secondo i calcoli dell’Istituto Basco di Statistica-Eustat, è del 32,4%.

Eustat è stato pioniere a livello internazionale nell’elaborazione di queste statistiche, e ha assunto dal 1993 l’impegno istituzionale di svolgere, a cadenza quinquennale, un’Indagine sui Bilanci di Tempo e di stimare il valore monetario della produzione domestica attraverso i Conti Satellite. L’ultima risale al 2018.

3) Indagini sugli Usi del Tempo: punti di forza e limiti

Si può affermare che, dal punto di vista femminista, esiste un consenso sull’utilità e l’importanza dei sondaggi sull’uso del tempo. Tuttavia, è anche vero che il suo uso solleva dubbi, poiché si comprende che “gli strumenti del maestro” non servono a catturare accuratamente la complessità di questo lavoro. Pertanto, è necessario sapere come vengono creati, come funzionano e i limiti che presentano.

Le indagini sugli Usi del Tempo iniziano a svolgersi agli inizi del XX secolo con l’intenzione di fornire informazioni sulla vita quotidiana di una popolazione data: studiare il consumo di radio e televisione, analizzare i momenti quotidiani di riposo e di consumo, determinare le condizioni di vita, conoscere l’impiego del tempo della popolazione disoccupata… La loro origine quindi non si situa nel quadro delle rivendicazioni femministe. Non c’è da stupirsi che una delle prime inchieste di questo tipo, fatte in contesto spagnolo, fosse prodotta dalla RTVE[1].

Le indagini sugli Usi del Tempo contabilizzano le attività che si svolgono in un giorno feriale, prendendo come criterio il tempo (ore e minuti). questa è una forma di misurare e concepire il tempo che è molto generalizzata nelle società occidentali contemporanee. Per questo è facile capire i risultati di queste inchieste. Inoltre si tratta di una misura astratta che permette l’accumulazione (sommare tempi) così come il confronto. Nonostante questo, presenta alcuni limiti.

Uno dei limiti principali è che non permette di mettere a fuoco gli aspetti soggettivi relativi fondamentalmente alla cura. Questo lavoro si basa sulla relazione e l’interazione con altre persone, fra la persona curata e quella che la cura, relazione che si caratterizza attraverso sentimenti, emozioni, impegno morale e spesso si basa su relazioni di potere e oppressione. Non è possibile captare tutto ciò attraverso le  indagini sugli Usi del Tempo.

Nemmeno il tempo relativo al lavoro “mentale”, che ha a che fare con la gestione e l’organizzazione domestica, può essere calcolato attraverso queste indagini.: si misurano le occupazioni ma non le preoccupazioni. L’intensità del tempo o la simultaneità sono altri aspetti difficilmente quantificabili e sono invece abituali nell’ambito domestico-familiare: cucinare mentre si sta attente a quando la lavatrice ha finito, mentre intanto si dà una mano con i compiti dei figli e si ascolta la radio.

Malgrado tutto questo, le indagini sugli Usi del Tempo sono risultate uno strumento utile per il femminismo, soprattutto quando si tratta di dare visibilità, valore e riconoscimento sociale al lavoro fatto principalmente dalle donne nell’ambito domestico-familiare.

4) Organizzazione del tempo di un giorno comune

I dati dell’Indagine  sui Bilanci di Tempo di Eustat mostrano che, in generale, in un giorno comune, distribuiamo il nostro tempo in questo modo: impieghiamo la metà del giorno (11 ore e 25 minuti) nel soddisfare i bisogni di base (dormire, mangiare, curarsi…); un quarto lo dedichiamo al lavoro, sia remunerato sia domestico-familiare (5 ore e 41 minuti); quasi un altro quarto al riposo (5 ore e 10 minuti) e il resto ai trasferimenti (1 ora e 13 minuti).

Questa distribuzione non è specifica della società basca, si tratta di una caratteristica comune delle società occidentali contemporanee. Questo è dovuto al fatto che le forme di vita derivate dal capitalismo industriale sono molto radicate e condizionano il modo in cui organizziamo il nostro quotidiano e disponiamo del nostro tempo. Gli orari delle giornate lavorative hanno molto a che vedere con questo. Tuttavia non vogliamo affermare che questa forma di organizzare la giornata sia generalizzabile alle persone che vivono in questo contesto. Si tratta di una finzione statistica: un giorno che non esiste più in là dei dati.

Da questa prima approssimazione sorge una domanda chiave: è sempre stato così?

Come abbiamo detto prima, Eustat ci fornisce dati sull’impiego del tempo dal 1993 al 2013, per cui è possibile osservare se ci sono stati cambiamenti negli ultimi 20 anni. I dati mostrano che la maniera di organizzare la giornata non si sconvolge significativamente, anche se ci sono attività a cui ora si dedica meno tempo e altre a cui se ne destina di più. In generale ora si dedica più tempo ai bisogni di base, alla cura delle persone della famiglia, al riposo attivo e allo sport, e ai trasferimenti. Le attività in cui si impiega meno tempo sono: lavoro retribuito e formazione, lavoro domestico, riposo passivo (mezzi di comunicazione, soprattutto) e vita sociale.

Alcuni cambiamenti mostrano una tendenza chiara: per esempio, dedichiamo più tempo alla tecnologia dell’informazione e della comunicazione (considerato riposo attivo) e anche alla cura delle persone della famiglia e meno al lavoro domestico. Altri, tuttavia, sono condizionati dalle situazioni socio-economiche del momento, come per esempio i tempi destinati al mercato del lavoro: mostrano una tendenza al rialzo in momenti di bonaccia economica e al ribasso in epoche di crisi.

5) Come si sostiene la vita?

Altro dato importante che le inchieste mettono in evidenza è che la quantità di tempo destinata al lavoro retribuito e a quello domestico-familiare è simile: circa tre ore. Questa affermazione può scontrarsi con la nostra percezione e con la nostra esperienza personale, dato che nel contesto spagnolo le giornate lavorative sono di otto ore. Tuttavia, il lavoro salariato si caratterizza per un ritmo settimanale preciso: i fine settimana la maggior parte delle persone non lavorano in maniera retribuita. Questa però non è un’occupazione che implica tutta la popolazione. Al lavoro domestico e alle cure, per contro, si dedica tempo durante tutti i giorni della settimana e inoltre in questi è coinvolta quasi tutta la popolazione (8 su 10 persone). In questo modo, dato che le indagini prendono come riferimento tutti i giorni della settimana e tutta la popolazione, dimostrano che la preminenza del tempo destinato al mercato del lavoro a livello sociale non è come appare dal discorso sociale e neppure come pretende l’economia neo-liberale.

Questo è: i beni e i servizi necessari a soddisfare le necessità della società provengono in una proporzione simile dal mercato e dalle famiglie. La bilancia si inclina da una parte o dall’altra a seconda della congiuntura economica: in epoca di bonaccia il tempo del mercato aumenta rispetto a quello in ambito domestico-familiare, al contrario che in epoca di crisi.

Se consideriamo, inoltre, la somma di ambedue i lavori, quello retribuito e quello domestico-familiare, osserviamo che le donne lavorano in media un’ora in più degli uomini durante i 20 anni di cui disponiamo dei dati. Questo significa che in una settimana lavorano circa sette ore in più: cioè una giornata lavorativa e che le donne provvedono alla società in misura maggiore degli uomini dei beni e dei servizi necessari alla sopravvivenza. È così, la vita si sostiene, prevalentemente, grazie al lavoro svolto dalle donne, tanto fuori quanto dentro le case. Come contropartita, le donne dispongono di meno tempo degli uomini per il riposo, la vita sociale e i trasferimenti. Un accesso disuguale al riposo, alla vita sociale, a un tempo proprio e alla mobilità blocca la capacità di agire delle donne, così come il loro stato fisico ed emozionale.

Se da un lato le donne dedicano in generale più tempo al lavoro che gli uomini, il coinvolgimento nei diversi lavori non è lo stesso. Le donne investono più tempo in quello domestico-familiare, mentre gli uomini ne dedicano di più al lavoro produttivo-mercantile. Questa distribuzione si mantiene tra il 1993 e il 2013, anche se il tempo che donne e uomini destinano a ogni lavoro è cambiato. Le donne impiegano un’ora meno nel lavoro domestico e di cura e mezz’ora in più nel lavoro retribuito mentre gli uomini dedicano ¾ d’ora al domestico-familiare e un’ora meno al retribuito. Nonostante questo le disuguaglianze persistono. In più, il divario di genere  è diminuito in maggiore misura rispetto al tempo del mercato del lavoro che rispetto a quello domestico e di cura.

Il grafico che segue riporta i dati che abbiamo menzionato:

Grafico 1. Evoluzione della distribuzione della quantità totale di lavoro fra donne e uomini

Fonte: Elaborazione dell’autrice a partire dai dati di Eustat (1993-2013)

Nell’ambito domestico-familiare le disuguaglianze di genere sono maggiori che nel produttivo-mercantile. Il lavoro domestico e la cura continuano a essere in mano alle donne. Secondo i calcoli di Eustat, gli uomini non fanno più della terza parte di questo lavoro (il 33,3%). L’evoluzione è stata tuttavia importante perché nel 1993 realizzavano il 20,7%.  Per quanto riguarda il processo verso l’uguaglianza, dobbiamo segnalare che è maggiore la quantità di tempo che le donne hanno smesso di investire in questo ambito che l’aumento del tempo che vi dedicano gli uomini.

6) Disuguaglianze di genere

Per rendere visibili le disuguaglianze nei diversi usi del tempo in maniera chiara e sintetica, le professoresse della UPV/EHU[2] Marina Sagastizabal y Marta Luxán propongono di studiare i dati delle indagini  attraverso l’indice di femminizzazione. Questo indice si riferisce alla relazione esistente fra il tempo dedicato ad una attività concreta dalle donne e dagli uomini. E’ una misura decimale che va interpretata così: quando l’indice di femminizzazione è 1, il tempo impiegato da donne e uomini in una stessa attività è uguale; quando l’indice è maggiore di 1, le donne impiegano più tempo e quando è minore di 1 sono gli uomini che vi dedicano più tempo. Gli indici di femminizzazione rendono manifeste le disuguaglianze di genere, ma non solo queste, dato che mettono in evidenza la loro grandezza, permettendo di evidenziare la loro evoluzione.

Se osserviamo gli indici di femminizzazione delle principali attività, i dati dicono che l’ambito domestico-familiare è quello in cui le disuguaglianze sono maggiori. Pertanto, analizzare il lavoro domestico e la cura attraverso gli usi del tempo non è sciocco poiché questo permette di puntare l’attenzione sul nocciolo delle disuguaglianze di genere.

Tuttavia, i dati mostrano che l’evoluzione di queste disuguaglianze non è uguale nel lavoro domestico e nei lavori di cura. Per quanto riguarda il lavoro domestico, l’evoluzione è chiara: nel 1993 le donne dedicavano a questo ambito quattro volte più tempo degli uomini e, nel 2013, il doppio. Il miglioramento verso l’uguaglianza è notevole ma lo è anche la persistenza delle disuguaglianze.

Per quanto riguarda il lavoro di cura, però, il miglioramento non è né chiaro né graduale come lo è nel lavoro domestico: nel 1993 le donne dedicavano 2,3 volte più tempo degli uomini a questa occupazione e vent’anni più tardi, 1,7 volte di più, mentre le maggiori disuguaglianze si registrano nel 2008, anno in cui le donne hanno dedicato alla cura 2,4 volte più tempo degli uomini.

L’altro ambito che presenta disuguaglianze significative è quello del lavoro retribuito e della formazione. Qui gli uomini sono i protagonisti. Nel 1993 le donne dedicavano la metà del tempo degli uomini in questa sfera (indice di femminizzazione di 0,5) e nel 2013 un 30% in meno (indice di femminizzazione di 0,7). Le disuguaglianze sono minori rispetto a riposo, vita sociale e trasferimenti, attività in cui gli indici di femminizzazione si avvicinano a 1, però a cui gli uomini dedicano più tempo che le donne. Il tempo dedicato ai bisogni di base è l’unico ugualitario, con un indice di femminizzazione di 1.

Il grafico 2 mostra i dati a cui si è fatto riferimento in questo paragrafo:

Grafico 2. Evoluzione dell’indice di femminizzazione delle principali attività

Fonte: Elaborazione dell’autrice a partire dai dati di Eustat (1993-2013)

7) Divisione e corresponsabilità: una questione politica

Se è necessario, di conseguenza, considerare i limiti delle indagini sugli Usi del Tempo, l’analisi dei dati che queste producono dimostra che sono uno strumento utile e valido per il femminismo contribuendo allo sforzo di rendere visibile il lavoro domestico-familiare che l’economia e le statistiche tradizionale sul lavoro hanno reso invisibile. Questo approccio permette di avanzare nella visibilizzazione e nel riconoscimento di tutti i lavori.

Per concludere, non si deve dimenticare che il riconoscimento passa attraverso il comprendere che la divisione sessuale del lavoro è un problema politico di prim’ordine, e che è necessario introdurlo nelle agende della politica. La sostenibilità della vita è un fatto che riguarda tutta la popolazione, non è un dovere che le donne devono assumersi gratuitamente. E’ una questione politica farla finita con le disuguaglianze che sostengono la divisione sessuale del lavoro, coinvolgendo tutta la società nella divisione e nello svolgimento di questi compiti.

Dare visibilità e riconoscimento ai lavori che sostengono la vita è cruciale, ma non lo è di meno rivendicare la loro condivisione e corresponsabilità.

[1] La Corporación de Radio y Televisión Española, S.A., nota semplicemente come RTVE è il più importante gruppo radiotelevisivo in Spagna

[2] Università dei Paesi Baschi

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 44 – Numero speciale di Marzo 2020. Dossier dell’associazione Economistas sin Fronteras: “Economia Femminista: Visibilizzare l’invisibile

 

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