Lotte, alternativa di società, convergenza dei movimenti: Intervista a Nicoletta Pirotta

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Intervista a Nicoletta Pirotta (Gruppo FemmSdC,  gruppo femminista attivo nella Società della Cura, rete italiana di oltre 400 associazioni)

1.  Quali sono gli obiettivi specifici delle vostre lotte?

Obiettivo specifico è quello di rendere migliore la condizione materiale e simbolica delle donne, in particolare di quelle che vivono situazioni di povertà, esclusione, violenza.

Lavoro, salute, contrasto alla violenza maschile e al linguaggio sessista sono gli ambiti sui quali si sono costruiti e si stanno costruendo percorsi di mobilitazione, di lotta, ed esperienze di solidarietà e di neo-mutualismo.

Penso alle lotte per la difesa dell’eguaglianza dei diritti sul posto di lavoro, al lavoro quotidiano di Di.R.E., la rete nazionale dei centri anti-violenza, all’impegno locale di molte reti impegnate sulla salute riproduttiva delle donne specie nei confronti della difesa e applicazione della 194, alle esperienze di solidarietà e di neo-mutualismo in diversi quartieri e città che vedono la presenza maggioritaria delle donne, all’impegno delle case, dei luoghi e degli spazi femministi che offrono sicurezza, accoglienza, socializzazione e alle grandi mobilitazioni di cui è capace il movimento di Non Una di Meno in ottica femminista e trans femminista.

Senza dimenticare il lavoro sociale, politico, culturale di associazioni/gruppi/reti femministe

 

2. Quali sono gli obiettivi più generali delle vostre lotte?

Per poter rispondere a questa domanda serve una premessa che provo a sintetizzare quanto più possibile.

Il movimento femminista, oggi e a livello internazionale, sta vivendo una stagione di lotta e mobilitazione. È un femminismo che riscopre la dimensione pubblica e di piazza e che riconosce le intersezioni fra genere, classe, razza.

La crisi del neoliberismo che ha fatto esplodere le contraddizioni economiche e sociali in tutta la loro asprezza ha riaperto la possibilità di ripensare ad una pratica femminista che provi a coinvolgere tutte le donne in particolare quelle impoverite o migranti che vivono una condizione di maggior sfruttamento ed esclusione.

È un femminismo, quello di oggi, che vede il protagonismo di una nuova generazione di donne, le quali, seppur in una condizione lavorativa, sociale ed individuale di precarietà, si riconoscono una coscienza critica in grado rimettere di nuovo tutto in discussione.

Il manifesto che, a mio avviso,  meglio lo tematizza (“Oltre il “farsi avanti”: per un femminismo del 99%”, scritto nel 2017 negli Stati Uniti da Linda Martín Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Angela Davis, Nancy Fraser, Keeanga-Yamahtta Taylor, Rasmea Yousef Odeh) auspica un movimento femminista internazionale con un’agenda inclusiva rivolta a tutte le donne del mondo e capace di riconoscere tutte le forme di oppressione e dominio attraverso lo strumento analitico dell’intersezionalità. Uno strumento che consente di vedere le differenze di non poco conto anche fra le donne (che non sono tutte uguali) a seconda della classe di appartenenza e/o delle proprie origini.

Le autrici dell’appello invitano a guardare oltre le semplici questioni di genere, valutando l’impatto della violenza di genere razzializzata, i fallimenti del neoliberismo, gli attacchi ai diritti delle e dei lavoratori, le ingiustizie riproduttive, l’omofobia, la transfobia e la xenofobia. per un movimento femminista internazionale che sia allo stesso tempo antirazzista, antieterosessista e anti-neoliberista.

Uno degli strumenti che questo movimento si è dato è lo sciopero globale delle donne.

Uno sciopero come manifestazione di lotta generale che si ponga come obiettivo la lotta contro ogni forma di oppressione  in tutti gli ambiti della vita, per un’astensione dai ruoli e dalle attività produttive e di cura e come atto di denuncia radicale dei sistemi globali di sfruttamento e di oppressione che governano le nostre vite.

Gli obiettivi generali del movimento femminista e transfemminista, si fondano dunque sulla “consapevolezza di quello che il sistema capitalista è” (per citare Angela Davis) e che quindi non basta lottare per i diritti delle donne se contemporaneamente non si mette in discussione radicalmente il sistema sociale, economico, politico, culturale in cui viviamo.

 

3. Cosa vi ha insegnato la pandemia?

La pandemia ha svelato che è “l’economia della cura”, per dirla con Nancy Fraser, e cioè il lavoro di riproduzione sociale e domestico, ad aver garantito e curato la vita e non l’economia del profitto che invece questa vita ha messo e mette a rischio.

Dovremmo domandarci quindi quali siano i bisogni umani da sostenere, quali le produzioni di cui abbiamo bisogno e quali i lavori socialmente necessari e inoltre, considerata l’interdipendenza e la  vulnerabilità dei nostri corpi, come prendercene cura nelle differenti fasi dell’esistenza.

Una “cura” che va intesa come un nuovo paradigma di senso e di pratica, come anche il femminismo  insegna, e che presuppone un riorientamento radicale di pensiero insieme  all’esigenza di un modo diverso di stare al mondo.

Un concetto di cura che porta con sé, inevitabilmente, la necessità di confliggere con l’esistente per cambiarlo radicalmente.

 

4. Qual è la vostra idea di alternativa di società?

Per rispondere a questa domanda indico i principi di fondo tratti dal lavoro di approfondimento su “welfare bene comune” portato avanti da IFE Italia, l’associazione femminista di cui sono una delle attiviste.

Sono principi che credo possano essere estesi ad un modello alternativo di società:

universalità per rendere esigibile quanto indicato nell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”;

sicurezza e protezione sociali come elementi di una progettualità territoriale che abbia “passo corto” nel dare risposte adeguate a bisogni concreti, ma “visione lunga” in modo che le risposte non siano frammentarie, episodiche o emergenziali;

eguaglianza da intendersi sia come processo individuale e collettivo che sovverte le strutture, personali e sociali, che hanno determinato diseguaglianza sia come capacità di cogliere le intersezioni fra genere/classe/provenienza che attraversano i soggetti;

equità per dare a ciascuna/o secondo i propri bisogni e le proprie necessità;

autodeterminazione per rendere le persone protagoniste di percorsi trasformativi individuali e collettivi;

dimensione pubblica che rompa con l’idea mercantile e privatistica per promuovere un concetto di “pubblico” che indichi la partecipazione personale e collettiva al “bene comune” e superi l’orizzonte sociale ed antropologico della “proprietà” per intrattenere rapporti sociali liberati dal possesso e dal consumo ed orientati alla cura di sé, delle persone e del mondo.

E aggiungo “democrazia” intesa in modo ampio e profondo. Un sistema veramente democratico dovrebbe far sì, per dirla con Fraser, che tutte le decisioni politiche fondamentali – anche quelle relative ai rapporti tra economia, società, ambiente, politica – debbano essere affidate alla deliberazione politica democratica (e non a quella oligarchica o autocratica) perché la democrazia riguarda tutte le sfere del vivere e va continuamente “imparata” (come dice bene il costituzionalista  Zagrebelsky).

 

5. Si parla molto di convergenza dei movimenti e delle lotte: che ne pensi (risorse e difficoltà) e in che senso la intendi?

La sconfitta del movimento operaio ha contribuito a determinare l’ascesa incontrastata del sistema capitalista nella sua versione neo liberista globalizzata. Un sistema nel quale molti milioni di persone non hanno più diritti o li perdono, la precarizzazione del lavoro e della vita ha raggiunto livelli insopportabili e si sono rafforzate le gerarchie che esistono nel corpo sociale. Viviamo oggi in una società asimmetrica, violenta e ingiusta che acuisce la relazione di potere tra uomini e donne fossilizzata nelle strutture patriarcali, la miseria delle persone immigrate e la ricattabilità di minoranze oppresse.

È comprensibile che dentro un sistema siffatto le esperienze di chi ha provato a resistere, anche in forma organizzata, si siano indebolite e frammentate.

Da questo punto di vista ben venga ogni tentativo che provi a superare questa frammentazione costruendo spazi di incontro, confronto e mobilitazioni comuni. Come ha fatto e sta facendo, per fare un esempio, il percorso della Società della Cura.

Credo però che se al convergere diamo il significato letterale di “tendere, muovendo da punti diversi, verso un unico punto e rivolgere sforzi e aspirazioni ad un medesimo fine” si debba fare un passo in più per condividere un orizzonte di senso (una società liberata da ogni forma di sfruttamento e oppressione?)  e darsi qualche obiettivo generale coerente (l’eliminazione della proprietà privata sui vaccini?, una riconversione produttiva che consideri come inscindibile il nesso fra ambiente produzione e riproduzione sociale e domestica? la proposta di un welfare nuovo che parta dal riconoscimento dell’intreccio fra diritti sociali e civili per considerare l’interezza delle persone?) provando insieme a renderlo possibile attraverso alleanze/conflitto/mobilitazioni.

Parlo di alleanze avendo chiara la differenza fra alleanza e convergenza.

L’alleanza, a mio avviso, può essere agita su questioni ed obiettivi specifici anche con soggettività che non necessariamente si riconoscano in un comune orizzonte di senso.

La convergenza è qualcosa che va oltre come ho cercato di spiegare poco sopra.

 

6. Con quali soggetti senti naturale la convergenza e perché?

La sento coerente (più che naturale) con  quei soggetti che riconoscono ogni forma di sfruttamento e dominio (individuale e collettivo) , che lottano per il loro superamento e che sono capaci di immaginare e di praticare, anche sul piano personale, un modello differente di società e di relazioni umane.

Photo credits: Sciopero internazionale delle donne, 8 marzo 2019, Manifestazione a Torino. [fonte Attac Torino]

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 48 di Gennaio-febbraio 2022: “Cosa bolle in pentola?

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